Michael Seifert a Vancouver

La Corte di Cassazione ha confermato in via definitiva la lentenza di condanna all’ergastolo pronunciata dal Tribunale Militare di Verona, il processo a carico dell’ex SS Michael Seifert, nato a Landau (Ucraina) il 16 marzo 1924, rintracciato a Vancouver (Canada), al numero 5471 di Commercial Street. Un processo storico, che evoca un’epoca di dolore e di sofferenze inenarrabili per migliaia e migliaia di deportati nei campi di Fossoli e di Bolzano. Michael Seifert altri non è infatti che il giovanissimo, sanguinario “Misha”, che con l’inseparabile “Otto” (Otto Sein, “irrintracciabile” oggi per la giustizia italiana) seminò il terrore tra i deportati.
L’ANPI, l’ANED, il Comune di Bolzano, la Comunità ebraica di Merano e l’Unione delle Comunità ebraiche erano state ammesse come parti civili. L’ANED e l’ANPI erano rappresentate dagli avvocati Sandro Canestrini e Gianfranco Maris.
Da lunedì 20 fino a giovedì 23 novembre 2000 sono stati ascoltati una ventina di testimoni, in grandissima maggioranza superstiti del Lager. Venerdì 24, infine, dopo la requisitoria del PM e le arringhe delle parti civili e della difesa il Tribunale ha emesso la sentenza.
Tutte le testimonianze dei superstiti (cfr il testo integrale del volume “Anche a volerlo raccontare è impossibile”, a cura di Giorgio Mezzalira e Cinzia Villani, edito dal Circolo Culturale ANPI di Bolzano) sono concordi nell’attribuire alla coppia dei due “ucraini” Otto e “Misha”, che sembravano anche più giovani dei loro 20 anni,  particolari efferatezza e sadismo nelle violenze inflitte ai deportati, e in particolari ai detenuti delle “celle” (la prigione interna di Bolzano) contro i quali i due si accanivano quasi sempre in coppia, spesso all’improvviso, senza alcun motivo. Fin dalle prime sedute del processo numerosi testimoni hanno riconosciuto con sicurezza nella foto di Michael Seifer il “Misha” che terrorizzava il campo. Ai due ucraini e alla loro ferocia è dedicata anche una celebre poesia dell’intellettuale veneto Egidio Meneghetti (rettore dell’Università di Padova nel dopoguerra) che fu deportato a Bolzano.
“Misha” Seifert doveva rispondere di efferati crimini, riassunti in 15 capi di accusa.