Vincenzo Gigante detto Ugo

Un eroe brindisino

di Vittorio Bruno Stamerra, Antonio Maglio, Patrizia Miano
Brindisi, Hobos edizioni, 2005 
  
 

Se dovessi scegliere una parola per indicare questa biografia di Vincenzo Gigante sceglierei la parola «commozione». È un libro commovente per diversi motivi, primo fra tutti per la passione con cui è stata scritto. Stamerra e Maglio, che hanno ricostruito l’attività politica e resistenziale di Gigante, e Patrizia Milano che ne ha trattato gli aspetti più personali della vita, lo hanno fatto con competenza ma soprattutto con passione e amore. Il Gigante che ne emerge,e che siamo portati anche noi a chiamare Cenzino, come era chiamato in famiglia, non è solo l’uomo politico del comitato centrale del partito comunista cui viene affidato il coordinamento estero, è anche l’uomo che sacrifica vita, famiglia, amore per la scelta politica, è l’uomo che mette a rischio quotidianamente la sua vita, fino a che il regime lo chiude in carcere – da cui esce malato, curvo e fiaccato, lui che era un bell’uomo, corteggiato e amato dalle donne -, lo invia al confino e infine lo uccide dopo mille torture.
Un altro motivo per cui la lettura ci coinvolge nei sentimenti è che Vincenzo Gigante era un uomo appassionato, pieno di vita e di spirito, come intelligente, generosa e di grande sensibilità era sua moglie Wanda. Figlio naturale di Concetta Gigante, amata da un uomo che le aveva dato cinque figli senza riconoscerne nessuno, e che si era accollata il peso e la responsabilità di crescere i tre figli sopravvissuti, aveva portato con sé a Roma la famiglia. Quando poi il partito lo incaricò di tenere i collegamenti con l’estero e dovette partire, quando fu rinchiuso in carcere, non mancò mai di pensare al suo mantenimento e a farle sentire il suo affetto. Ci pensò anche la moglie Wanda, con sensibilità e discrezione, aiutata dalla sua famiglia di origine, famiglia anch’essa di antifascisti residenti in Svizzera, dove Cenzino l’aveva conosciuta e sposata.
La commozione diventa poi un vero e proprio nodo alla gola quando si leggono i brani di lettere riportate nel testo, lettere di Cenzino a Wanda, di Cenzino alla madre, di Wanda a Cenzino e al cognato. Sono lettere di famiglia che forse volevano restare private, tanto che se indica la riproduzione in appendice, ma di fatto non c’è nessuna appendice e solo tre lettere sono riportate alla voce Documenti. Esse comunque, insieme alle parti di lettere nel testo di Patrizia Miano, rendono a tutto tondo la personalità di questo comunista forte e intransigente, ma anche tenero e affettuoso, non restio ad esprimere i propri sentimenti più intimi e capace di farlo in forme che hanno della poesia.
“Voglio finirla con queste tristezze, malinconie e crisi di pianto ecc. Debbo ritornare come una volta , allegro, monello con 4 elle. Ma pres[to] poi lo debbo diventare perché ora ho te. Dobbiamo essere sempre allegri, così come lo siamo stati in quelle poche ora passate in compagnia”. (p 87)
E quando Wanda riparte da Parigi. “Ho preferito allontanarmi subito dal treno e dalla stazione. Tanto parlare con te, per quel momento che saresti rimasta, non mi sarebbe stato più possibile, un nodo mi teneva stretta la gola e guardarti neanche perché… Non volevo che né a te né a me rimanesse un ultimo ricordo così triste di questi giorni belli trascorsi insieme. Sono uscito dalla stazione con la speranza di allontanarmi nella moltitudine per dimenticare e sopra tutto non riflettere che avevo lasciato andar via il mio bene così senza reagire. Assurda pretesa la mia, nevvero Wandarella? Dimenticare, non riflettere? Come potevo e come posso pensare che la mia Wandarella non è più qui, che la potrò rivedere chissà quando?” (p 88)
Anche Wanda sa esprimere la sua tenerezza, e le sue espressioni, quel suo “accento” meridionale che ce la rendono ancor più vicina e familiare. E come si fa a non intenerirsi quando si parla della bambina, la «nostra» Miuccia, segretaria generale dell’Aned?
“…Come ebbi a dirti in una mia anche la piccola prese il raffreddore e qualche giornata in casa e qualche tè l’hanno completamente rimessa bene. Ma domenica ne ha fatta una scorpacciata di starnuti e fazzoletti. Fortuna che ha un carattere così buontempone che anche il raffreddore l’ha divertita… Continua a parlare di te in questi giorni, anche stamane vide un’ auto che si era fermata proprio sotto la porta e disse: è il mio Cenzino? La rassicurai che tu verrai quando sarà più grandicella e via di seguito, ma mi rispose che: voglio adesso che sono piccola il mio Cenzino…” (lettera del 10.10.1935)
Nonostante il tono di affetto che circola un po’ in tutte le parti della biografia, il testo offre soprattutto una ricostruzione storico-politica della vita e dell’attività di Vincenzo Gigante.
La prima parte, curata da Vittorio Bruno Stamerra, si intitola Una scelta di vita e tratta della formazione brindisina e soprattutto romana di Gigante e della sua attività nel e per il partito comunista. Le fonti sono quelle di archivio, quelle storiografiche, Spriano ovviamente, e le testimonianze di Terracini, che fu con lui nel carcere di Civitavecchia, e di Togliatti.
L’attività di Gigante è inquadrata nella vita clandestina del partito negli anni Trenta di cui fornisce uno spaccato, a livello nazionale ed internazionale. Arrestato infine e condannato dal Tribunale speciale a venti anni di reclusione(sentenza del 25 ottobre 1934) continuò in carcere la sua formazione culturale attraverso la lettura di saggi e libri di poesia.
Fu poi internato a Ustica e a Renicci, da cui fuggì dopo l’8 settembre. E infine la resistenza nella Venezia Giulia, responsabile del partito.
La seconda parte, a cura di Antonio Maglio, L’uomo della resistenza, tratta del difficile ruolo di mediazione che avrebbe ricoperto Gigante tra comunisti italiani e comunisti slavi, tra i diversi nazionalismi e la necessità di battere il nazifascismo. Un contributo problematico che pone delle domande più che dare delle risposte.
“… Aveva sempre con sé una piccola fotografia della sua compagna e della sua bambina di dodici anni, che non aveva mai visto. Era tutto quello che possedeva:il fascismo gli aveva distrutto nel carcere la giovinezza e la vita familiare”, racconta Andrea Casassa, responsabile della sezione italiana del Partito comunista croato dell’Istria che collaborò con Gigante alla diffusione della stampa e propaganda clandestina.
E infine l’arresto, per la segnalazione di una delle innumerevoli spie di cui si serviva il fascismo, le torture e la morte nella Risiera di San Sabba, il lager gestito dalle SS.
La testimonianze rendono con crudezza gli ultimi giorni di Gigante: “La sua agonia fu lunga, terribilmente lunga” (Terracini), e quella di chi lo vide in carcere “Gigante procedeva lentamente, a fatica, il corpo piegato e senza più vigore. Erano già due mesi che lo torturavano senza riuscire a farlo parlare, né mai vi riuscirono” (testimone oculare).
E infine il contributo di Patrizia Miano, Il figlio, il marito, il padre. L’autrice insiste a spiegare quel nome Ugo, che compare nel titolo, per scavare nella storia di Concetta Gigante e del rapporto con il signorotto brindisino, di nome Ugo appunto, che fu padre naturale dei figli di Concetta e quindi anche di Vincenzo. Una storia trattata con condiscendenza e comprensione, che personalmente condivido poco. Erano vicendeabbastanza comuni nell’ottocento, ma non per questo giustificabili. Sono comunque ben trattati i rapporti personali di Cenzino, grazie all’ausilio delle lettere, di cui si è detto. La famiglia Fonti che pure ebbe un ruolo importante nella sua vita, rimane purtroppo un po’ nell’ombra.
Conclude il volume una serie di documenti di archivio e di lettere che ha costituito la base della ricerca.
Personalmente mi auguro che di Gigante si torni ancora a parlare. Sono molti gli uomini a cui dobbiamo la democrazia di cui ancora godiamo, Gigante è uno di quelli che ha pagato con la vita.
(olga lucchi)