Intervento di MILOVAN BRESSAN Gorizia

Ancora adesso tante donne non vogliono parlare di quello che hanno vissuto. E’ giusto forzarle a farlo?

Molte delle cose che volevo dire sono già state dette perciò sarò il più breve possibile. Questo congresso si è aperto all’insegna della memoria, del non dimenticare; noi abbiamo raccolto nel passato parecchie testimonianze – e io parlo per Gorizia – dove la situzione è grave, forse molto di più rispetto alle altre province, in quanto abbiamo una popolazione mista che ha provato sulla propria pelle l’invasione tedesca immediata, abbiamo la prima battaglia partigiana che si è svolta il 12 settembre a Gorizia, e abbiamo le deportazioni, anche quelle immediate, perché la lotta partigiana nel goriziano, come del resto in buona parte del Friuli Venezia Giulia, non è sorta solo dopo il settembre 1943, ma anche prima, cioè con lo scoppio della guerra dei 10 giugno 1940 e poi con la occupazione della Jugoslavia, della provincia di Lubiana e della Dalmazia, compreso il Montenegro, annesse allo Stato italiano.
Io personalmente partecipo ogni anno soprattutto nelle scuole di ogni ordine e grado a iniziative sulla Resistenza e sui campi di sterminio, e naturalmente i giovani sono moltissimi, perché nelle scuole oggi sono attrezzati, hanno delle palestre e in queste palestre io porto il messaggio della nostra associazione e della Resistenza in genere. Le domande sono tantissime; noi abbiamo fatto queste proiezioni anche per quattro ore filate in una scuola sola a Gorizia, e di solito sono accompagnato da una signora ormai molto anziana di origine ebraica che si chiama Pincherle, ha 82 anni, molto valida, ancora lucidissima.
In ogni caso so che dopo queste conferenze, molti ci domandano e chiedono di poter intervistare le persone che sono state deportate, ma questo ci viene richiesto anche dagli Istituti storici e ci è stato richiesto negli ultimi due o tre anni anche dalla nostra segreteria nazionale di Milano. Parecchie di queste donne hanno subito sulla propria pelle violenze di ogni genere, e ancora prima di essere trasportate nei campi di sterminio perché prigioniere nelle carceri di Gorizia, venivano violentate dai tedeschi e anche dai soldati delle Brigate nere italiane.
Queste persone sono ormai diventate delle nonne, hanno dei nipoti, non sempre si aprono spontaneamente ed integralmente, perché vogliono seppellire il loro passato. E’ un passato che preme sulla propria coscienza e ha lasciato delle ferite che sono tuttora aperte. Per poter trasmettere alla nostra direzione di Milano questi ricordi con i quali sarà pubblicato – ho sentito poc’anzi da Vasari – un libro, queste donne non volevano parlare, moltissime si sono rifiutate, moltissime piangevano, però ho fatto quello che ho potuto e buona parte, perlomeno i due terzi hanno, nonostante tutto, voluto rilasciarmi i loro ricordi.
E’ vero che bisogna ricordare, è vero che bisogna riportare alle future generazioni quello che noi abbiamo provato, però dobbiamo andarci piano, perché queste persone ormai sono molto anziane, hanno passato i 75-80 anni, ricordano anche male, e naturalmente scavando nel loro passato riportiamo in superficie dei ricordi che vogliono in qualche modo non ricordare più. Se c’è qualcuno che si fa avanti, che domanda in qualche modo di poter scrivere, ricordare, aiutiamolo, in tutti i modi, ma di fronte a delle persone che si chiudono nel loro guscio e non vogliono più testimoniare sarebbe molto utile non insistere.
Questo lo volevo dire e questo avevo anche scritto perché in un primo tempo noi tutti abbiamo ricevuto questo avviso con il quale ci dicevano: ognuno di voi faccia, per quanto riguarda l’intervento al congresso, un articolo breve che sarà pubblicato su “Triangolo Rosso”, e io ho espresso questi miei pensieri, dicendo appunto che non sempre è utile, non sempre sarebbe utile ritornare su questi argomenti e naturalmente costringere la gente, perché quello che abbiamo fatto abbiamo fatto, quello che abbiamo scritto abbiamo scritto.
Se c’è qualcuno che ancora vuol fare qualcosa e spontaneamente vuol dichiarare, lo dichiari, anzi lo dobbiamo aiutare; però trovo molta difficoltà ad ottenere ancora dalle persone che vivono nelle zone dove siamo noi, e molte poi non sono neanche in grado di scrivere in lingua italiana che conoscono approssimativamente, loro parlano un dialetto e molte si esprimono ancora in lingua slovena, e naturalmente queste sono state quelle più bersagliate, e lo sono state sia in Italia come anche nei campi di concentramento. Ottenere da loro dichiarazioni esplicite è molto difficile e io non mi sento di assicurare la nostra Segreteria nazionale se dovesse ancora avere bisogno di queste dichiarazioni di poterla accontentare.
Vorrei suggerire un’altra cosa. A Gorizia, per esempio, quello che tira avanti la baracca sono io e soltanto io, non ho aiuti di nessun genere, però una cosa che mi dà parecchio da lavorare e incomincio sin dal mese di novembre è la questione del tesseramento. Sono 60-70 tessere che io devo battere a macchina, la tessera è formata di quattro tagliandi, e questo dà un lavoro notevole, perché non basta fare questi quattro tagliandi, bisogna anche preparare un elenco, bisogna poi fare 60-70 buste, bisogna fare una lettera di accompagnamento, ed è un lavoro notevole solo questo. Oltre tutto il resto, che poi dura continuamente per un anno intero, e non ci sono domeniche, o qualche volta feste anche maggiori, che capita una qualsiasi necessità, o sono chiamato dalla Provincia o dal Comune e devo intervenire.
La gente, almeno da noi, si dimostra abbastanza stanca, non partecipa più. A me è toccato di andare in qualche posto, tenere un breve discorso e reggere nello stesso tempo la nostra bandiera perché non c’era nessuno dei nostri che rappresentasse l’Associazione nazionale ex deportati. Queste sono le cose che io pregherei la Segreteria nazionale di tenere in conto, e per quanto riguarda il tesseramento almeno per sollevare in parte il lavoro che viene svolto dalle sezioni, cercare di studiare la possibilità di istituire un certo tipo di tessera che non sia più rinnovabile di anno in anno, ma che ci sia semplicemente un bollino che viene applicato sulla tessera ogni anno senza dover ogni anno ripetere le tessere per ognuno di noi e batterle tantissime volte alla macchina. Con questo ho finito, ringrazio e buon lavoro.